venerdì 27 marzo 2015

QUATTRO CHIACCHIERE AL BANCONE: SUMBU BROTHERS


Intervistiamo oggi una vera e propria leggenda italiana: i Sumbu Brothers!
E sarà impresa quasi impossibile fare un’altra intervista migliore di questa.

Per chi fosse arrivato oggi da Marte ci presentate il gruppo?
Se uno arriva da Marte pol interessarse de ci semo??? Comunque siamo i fratelli Sumbu....5 dementi.

Da cosa ha avuto origine il vostro nome?
Semplicemente dal nostro cognome,come già detto siamo i fratelli Sumbu, dell'antica dinastia Sumbu....una storia troppo lunga per poterla raccontare adesso.

Come scegliete le canzoni da coverizzare, ma soprattutto come vi vengono in mente gli argomenti per i testi? Avete mai pensato di scrivere canzoni originali?
Le nostre sono canzoni originali, chi ha messo in giro queste voci? Ahahhaah per i testi dovremmo chiedere a chi li scrive ma nemmeno noi sappiamo chi sia.

In tutti questi anni di attività live c’è un concerto che vi è rimasto particolarmente nel cuore?
Se ne ricordassimo qualcuno potremmo rispondere alla tua domanda....diciamo che ci siamo divertiti molto nella tournee in Ruanda di tanti anni fa sul Lago Vittoria.

Quali sono i vostri generi musicali preferiti?
Tutto quello che suona ignorante senza tanta vergogna.

Siete indubbiamente molto legati all’Hellas Verona. Andate ancora allo stadio?
Noi?? Mai andati allo stadio....sono notizie del tutto infondate...noi fin da piccoli ci siamo dedicati sempre all'unico sport che si pratica in città,il curling...abbiamo anche una squadra che ci sta dando parecchie soddisfazioni.

Avete in programma un nuovo disco?
Bella domanda...ma dovresti parlare con il nostro psichiatra che ci segue da anni...potrebbe essere che a breve accada qualcosa del genere....chi lo sa?

Mario Merola, il Mullah Omar, Osama Bin Laden: chi vi manca di più?
Senza alcun dubbio Pino Daniele.

Spazio finale per i saluti e per dire ciò che volete.
Salutiamo tutti quelli che si sentono ignoranti come noi e lo vivono con estrema serenità...che l'ignoranza sia con voi!!!

martedì 24 marzo 2015

GLASGOW FINEST


Mentre migliaia di depravati in tutta Italia stamattina andavano a fare colazione gratis in pigiama da McDonald's, sancendo così la definitva fine della civiltà occidentale, noi vi parliamo di un vera leccornia culinaria da puri disagiati: la barretta di Mars fritta! Questa orrenda specialità (già di suo il Mars fa schifo) è diventata in poco tempo il piatto tipico di Glasgow, la città che al mondo vanta il più alto tasso di infartuate donne... ed un motivo ci sarà.
Già dall'aspetto appare tutto tranne che invitante: in buona sostanza si tratta di prendere un Mars, lasciarlo raffreddare e poi buttarlo nell'olio fritto. Il piatto è stato creato nel 1995 dal mentecatto proprietario di un fish & chips di Stonehaven, cittadina vicino ad Aberdeen, ma, grazie all'interesse dei mass media, si è diffuso rapidamente in tutta la Scozia, fino a trovare a Glasgow il suo naturale territorio d'elezione. Negli ultimi anni l'opinione pubblica si è accorta del cosiddetto "Glasgow Effect", vale a dire l'elevatissimo numero dei glasvegiani colpiti da infarto ed ictus rispetto a quelli che si registrano in città del Regno Unito della stessa grandezza e popolazione. Ovviamente a questo dato contribuisce lo smodato consumo di alcolici ed una dieta già grassa ed unta (l'haggis, il piatto scozzese per antonomasia, non è certo di facile digeribilità), ma si pensa che i picchi degli ultimi anni siano stati agevolati dall'elevato consumo di questa prelibatezza, tanto da allarmare l'Università di Glasgow che ne caldeggia la messa al bando. Ovviamente nei pubs e nei fish & chips si continua a consumare in abbondanti quantità, quindi se passate di lì provatelo. Noi però vi abbiamo avvertito.

lunedì 23 marzo 2015

"BISOGNA RIPORTARE I BAMBINI ALLO STADIO"


Riportare i bambini allo stadio era il mantra che ha ripetuto per anni Don Cesare Prandelli (salvo poi andarsene in Turchia e non preoccuparsi più di tanto della fauna che lì frequentava le gradinate); ebbene sabato Blackpool-Leeds United ci ha regalato una delle immagini più divertenti della stagione calcistica, altro che "El Clàsico" che pare sempre giocato in un acquario: una zuffa tra le due tifoserie viene seguita con grande divertimento e partecipazione da un bambino locale che sembra spassarsela un mondo, molto più che nel guardare i ventidue in campo.
Tra l'altro questa meravigliosa scena ci dà il pretesto per parlare brevemente del Blackpool, squadra alla quale sono affezionati coloro che hanno comprato il Subbuteo negli anni '80: infatti comprando la confezione base del Subbuteo una delle due squadre in regalo era proprio il Blackpool, nella sua originale tenuta arancione. Una formazione, quella di questa città del nord dell'Inghilterra conosciuta più per il northern soul e come meta balneare per i weekends, che non ha mai avuto una grande tradizione calcistica, infatti il suo punto più altro fu la vittoria della FA Cup nel 1953, quando nelle sue fila militava il leggendario Stanley Matthews, primo Pallone d'Oro della storia. Recentemente è tornato in Premier nel 2010 per una fugace apparizione, quando era allenato da Ian Holloway, un manager che preparava le partite con il Subbuteo! I cerchi si chiudono sempre.

venerdì 20 marzo 2015

THE WICKET GAME



Questa settimana potremmo parlare dell'arresto del presidente del Parma Manenti, ma non vogliamo avvelenarci il weekend, potremmo parlare di come all'hockey ci sia ancora un tifo vero e genuino, ma preferiamo dedicarvi un articolo a parte, quindi preferiamo parlare dei Mondiali di cricket in svolgimento in Australia e Nuova Zelanda! Ci siamo già occupati di cricket anni fa senza riuscire a capire assolutamente come si misuri il punteggio: è l'unico sport di squadra nel quale c'è un solo numero ad indicare il risultato! Per provare a capirlo bisogna essere laureati in matematica, eppure milioni di indiani, paki e bangla nel mondo ne vanno matti... qualcosa non torna. Vi promettiamo che settimana prossima vi faremo un articolo scritto da un nostro esperto in materia (incredibilmente, ne abbiamo uno) che ci spiegherà in sintesi le regole. Per ora l'unica certezza, come bel calcio, è che gli inglesi inventano uno sport e poi dimenticano come si gioca: a casa al primo turno. Per ora vi lasciamo con un coro della Barmy Army, i tifosi al seguito dell'Inghilterra.

Barmy Army- "Jimmy Saville Chant"

giovedì 19 marzo 2015

SHADWELL SIAMO I CANI CHE VI SBRANERANNO


Era il 1995 quando in UK usciva il film "I.D." (uscito in Italia con grande fantasia come "Hooligans"), pellicola dal budget non elevatissimo che però divenne in breve tempo un cult che, a distanza di 20, ha resistito benissimo al tempo e si guarda ancora con grande piacere. Zero canzoni accattivanti, zero ossessione per i vestiti e le mode, scene di violenza  solo accennate o mostrate fuori dallo schermo... eppure il tutto funziona alla grande grazie ai dialoghi e ad una trama tanto semplice quanto perfetta: un gruppo di poliziotti viene infiltrato in una tifoseria londinese, fino a quando il fascino oscuro della violenza non fa perdere la testa ad uno di loro, fino a farlo diventare più hooligan degli hooligans. La tifoseria è quella immaginaria dello Shadwell Town (quartiere realmente esistente dell'East End londinese), ispirata dichiaratamente al Millwall (anche se le immagini dentro lo stadio vennero girate a Vicarage Road, casa del Watford; da qui i colori sociali giallo e neri. Regista della pellicola era una vecchia conoscenza dei film sulle sottoculture britanniche, Philip Davis, il Chalky di "Quadrophenia" e lo Yeti di "The Firm", ed il ruolo del proprietario del pub The Rock, nonchè veterano hooligan dello Shadwell fu affidato a Warren Clarke, uno dei Drughi di Arancia Meccanica, morto lo scorso anno.
Ebbene, dopo vent'anni è notizia di questi giorni che è in produzione il sequel (lunedì è stato il primo giorno di riprese), dal titolo "I.D. 2: Shadwell Army": lo Shadwell ora è stato acquistato da un oligarca russo che ha portato la squadra in Europa rinvigorendo così anche la parte più violenta della tifoseria. Inoltre la tensione nel quartiere di Shadwell sta crescendo, a causa dell'imminente costruzione di una moschea nella zona, che sta aizzando gli animi dell'estrema destra. In tutto questo contesto si muovo Mo, un poliziotto asiatico che, come due decadi prima John, viene infiltrato nella locale firm e finirà anche lui per subire il fascino del lato oscuro.
Inutile dire che siamo molto curiosi di questo sequel, anche perchè rivedremo anche alcuni personaggi storici della pellicola originale, quindi non ci resta che aspettare per capire se i cani mordono ancora.

mercoledì 18 marzo 2015

QUATTRO CHIACCHIERE AL BANCONE: MARY & THE QUANTS


Intervistiamo oggi una nuova band milanese, i Mary & The Quants.

Intanto presentatevi ai lettori del blog. 
Ciao a tutti i lettori di A Classified Level! Siamo Mary & The Quants, una formazione di Milano ispirata alla musica dei favolosi anni Sessanta.

Come è nata l’idea del gruppo e da dove avete preso l’idea per il nome?
Ci siamo conosciuti attraverso amicizie comuni. L’idea del gruppo è sorta quasi spontaneamente nel momento in cui sono emersi i gusti musicali di ciascuno e la comune volontà di cimentarsi in un progetto di rivisitazione di brani ballabili dei nostri beniamini dei tempi d’oro.
Il nome del gruppo è uno scherzoso omaggio all’inventrice della minigonna, Mary Quant, autentica icona degli anni Sessanta. La musica che interpretiamo è allo stesso modo iconica e rappresentativa di quell’epoca.

Come definireste il vostro genere e quali sono i vostri gruppi di riferimento? 
La nostra passione include il fenomeno della British invasion (Beatles, Zombies, Stones, Animals, ecc.), il beat (Evy, Equipe 84), il pop vocale italiano (Mina, Rita Pavone, Caterina Caselli), il surf, il r’n’b della Motown di Detroit e il pop ballabile (Shocking Blue, Stealers Wheel, George Baker Selection, ecc.). Il nostro debole per le sonorità vintage è comunque calmierato dall’obiettivo di reinterpretarle secondo l’umore della nostra generazione.

Come mai siete così influenzati dagli anni ’60?
Gli anni Sessanta sono stati un’epoca di grande sviluppo e fermento culturale. Hanno seguito la restaurazione post-bellica degli anni Cinquanta e anticipato la sublime decadenza degli anni Settanta. A livello estetico non hanno eguali per la molteplicità di mode, d’influenze e per il connubio di suoni e colori. Musicalmente hanno fatto da culla al fenomeno musicale più rappresentativo del Novecento: il pop-rock. Per ragioni anagrafiche non ne abbiamo potuto fare parte, ma il nostro look e il nostro stile riporterà per qualche ora i nostri ascoltatori a respirare il profumo di un’epoca che non c’è più.

Arrivate da altre esperienze prima di questa? Ce ne potete parlare?
Ciascuno di noi ha militato in diversi gruppi di altrettanto diverse estrazioni: revival, rock-blues, indie rock, noise e svariate cover band. Le influenze individuali sono disparate e l’esperienza di palco maturata da ciascuno è notevole. 

Come scegliete le cover da reinterpretare? 
Prima ancora che musicisti, siamo avidi ascoltatori di musica. Le cover vengono selezionate in base al nostro gradimento e all’urgenza di volerle diffondere il più possibile. Quasi come se interpretandole volessimo dimostrare riconoscenza all’autore. Alla fine l’amore è il propulsore anche dei progetti musicali… 

Avete in programma di scrivere anche pezzi originali?
Abbiamo senz'altro l'obiettivo di scrivere pezzi nostri. Al momento, però, siamo molto impegnati a raffinare il nostro repertorio e farci conoscere il più possibile. 

Quali sono i vostri prossimi impegni live? 
Abbiamo già un calendario fitto d’impegni che investirà la primavera del 2015. Stiamo organizzando le date per le nostre esibizioni estive e faremo il possibile per soddisfare le richieste di tutti coloro che ci contatteranno. La nostra politica prevede un impegno serio e costante, per fare in modo che la gente si ricordi della nostra professionalità prima ancora che dell’immagine.

Avete in cantiere anche qualcosa in studio? 
Amiamo lavorare in studio e accadrà presto che s’incidano tracce rappresentative del nostro genere per poter avere un supporto di qualità da distribuire in giro, ma affronteremo l’argomento con maggior dedizione quando le tracce da incidere saranno le nostre.

Per chi fosse interessato a farvi suonare, come vi possono contattare?
E' possibile contattarci (e visionare i filmati delle nostre performance) visitando la nostra pagina Facebook: Mary & The Quants.

Spazio finale per saluti e dire tutto ciò che volete.
Un caro saluto e un ringraziamento a chi ha letto tutto fino in fondo. Speriamo di vedervi in giro e di farvi ballare fino all’alba!

martedì 17 marzo 2015

HAPPY SAINT PATRICK'S DAY!











San Patrizio in Italia pare diventato un altro carnevale, con i pubs riempiti di gente improponibile con cappelli da giullare e barbe finte da leprecauno, ma noi vogliamo ricordare un po' la storia del Santo e corrediamo il tutto con le immagini della sfilata di San Patrizio a Dublino, datate 2006.
Buon San Patrizio a tutti!

St. Patrick è una figura enigmatica, tra mito e leggenda, e poco si sa del suo personaggio dal punto di vista storico. 
Ciò che sappiamo ci perviene da due documenti, che si suppone siano stati scritto dallo stesso St. Patrick, e contenuti nel Book of Armagh. 
Uno di questi, una Confessio autobiografica, contiene quasi tutti i dettagli disponibili sulla sua vita. 
La storia è più o meno la seguente. 
Patrick (Magonus Succatus Patricius) è originario del Sud Est della Britannia (all’incirca l’attuale Gran Bretagna senza la Scozia) facente parte dell’Impero Romano. 
Nacque intorno al 400 d.C., figlio di una sorta di consigliere ecclesiastico di paese. 
Durante l’adolescenza Patrick fu rapito da predatori irlandesi e portato in Irlanda; venduto come schiavo, lavorò presso una fattoria vagamente localizzata nella contea di Antrim, la scelta più accreditata, o in quella di Mayo o di Sligo. 
Riuscì a fuggire in Gallia, dopo un certo numero di anni, e dalla Gallia tornò in Britannia. 
Ma Patrick fu richiamato in sogno nella terra dove era stato schiavo, questa volta come missionario. Seguì così l’indicazione della sua rivelazione mistica e approdò ancora una volta in Irlanda in un anno tradizionalmente stabilito come il 432 d.C., sebbene questa data sia sospettosamente troppo precisa. 
Si adoperò così per convertire la popolazione indigena. 
Poco si sa circa il resto della sua vita e nulla della sua morte. 
L’altro documento scritto da Patrick nel Book of Armagh è una lettera di protesta indirizzata ad un chieftain che si sospettava avesse rapito alcuni fedeli da poco convertiti. 
Se accettiamo i dettagli contenuti nel Book of Armagh come informazioni attendibili, questo è tutto. 
La leggendaria vita del Santo sarà costruita successivamente e gradualmente da una serie di biografie a partire dal VII secolo in poi.
Non c’è traccia del trifoglio (shamrock) negli scritti di Patrick. 
(Ricordiamo che la leggenda del trifoglio è legata al suo uso da parte di St. Patrick per spiegare il concetto di Trinità alla popolazione da cristianizzare). 
La cacciata dei serpenti dall’Irlanda, a cui il Santo avrebbe dato il via dalla cima del monte Croke Patrick nella contea di Mayo, è un mito suggestivo ma lontano dallo spiegare l’assenza dall’isola di una specie che simbolizza biblicamente il male. In realtà, molte altre specie sono assenti in Irlanda, rimasta isolata dalla massa delle terre europee dall’innalzamento degli oceani avvenuto intorno al 6000 a.C. Anche il coniglio, ad esempio, è tra gli animali che non fecero in tempo ad attraversare il ponte di terra, fu introdotto successivamente dai Normanni. 
L’annuale pellegrinaggio che conduce i fedeli, tra cui alcuni ancora oggi scalzi, in cima al monte Croke Patrick ha probabilmente un’origine pagana e la scalata del monte era praticata ancora prima della Cristianizzazione. 
Sebbene Patrick sia il più famoso missionario d’Irlanda, non fu il primo. 
Palladius era stato precedentemente inviato da Roma come primo vescovo d’Irlanda.
Il primo riferimento all’uso del trifoglio il giorno di St. Patrick è del XVI secolo.

lunedì 16 marzo 2015

SUNDAY DRINK-UP


Oggi parliamo di una tradizione tra le più interessanti e poco conosciute delle sottoculture londinesi. la cosiddetta Sunday Drink-Up, in buona sostanza "la sbronza della domenica".
Nata negli anni '70 nei pubs dell'East End come un ritrovo tra hooligans e reietti vari, ebbe il suo momento di massimo splendore all'inizio degli anni '80: la giornata al football era passata (all'epoca tutte le partite in UK si disputavano il sabato pomeriggio), la sera prima era trascorsa tra concerti e serate varie e la domenica, tradizonalmente, significava per gli inglese una giornata di relax in casa. Ma la crisi iniziava a farsi sentire e molti giovani non avevano più un lavoro sul quale fare affidamento e per il quale tenersi in forma in vista del lunedì, così la domenica era vista come un giorno di noia tremenda e, per di più, da trascorrere con un pesante hangover. Così lads da stadio e skinheads presero l'abitudine di rinchiudersi tutto il pomeriggio nei pubs della zona ad Est della City per scacciare la noia con pesanti sessioni al bancone. Naturalmente ben presto queste "allegre compagnie" iniziarono a creare problemi di ordine pubblico e le risse erano all'ordine del giorno. Tra i regulars della Sunday Drink-Up iniziò a formarsi un gruppo radicato politicamente all'estrema destra e così incominciarono i problemi con i membri dell'Anti-Fascist Action che transitavano in zona. Tra questi regulars si distingueva anche Gary Hitchcock, batterista e manager del gruppo Oi! dei 4-Skins, il quale un bel giorno volle trovare un nome più definito a questa massa indistinta e disordinata e propose il nome di Combat 18. Ma questa è tutta un'altra storia che ben presto tracimò da questi "sereni" pomeriggi nella parte orientale dalla capitale per radicarsi in tutta l'Inghilterra.

venerdì 13 marzo 2015

BORIS IS AN HEADHUNTER



La foto della settimana è senza dubbio quella di Boris Becker mercoledì a Stamford Bridge niente meno che con la sciarpa dei Chelsea Headhunters! Probabilmente non sapeva nemmeno cosa stesse indossando, ma è un'immagine fantastica in ogni caso.
Napoli-Dinamo Mosca: 17.127 paganti.
Fiorentina-Roma: 23.557 paganti.
A furia di ripetere che l'Europa League sia un peso e non conti nulla i presidenti delle società italiane hanno convinto anche i tifosi. Ed è una cosa davvero tristissima. Che altro possiamo aggiungere? Meglio pensare al weekend con una canzone che fa davvero calcio anni '80.

Juary- "Sarà così"

giovedì 12 marzo 2015

QUATTRO CHIACCHIERE AL BANCONE: MATTEO FONTANA



Sabato 28 Marzo si terrà al Teatro Santissima Trinità di Verona lo spettacolo “Verona 8485” ed oggi intervistiamo l’autore del testo, il giornalista e scrittore Matteo Fontana.

- Ciao Matteo. Ci racconti come è nata l’idea di “Verona 8485” e ci puoi dare un’anticipazione su come si svilupperà lo spettacolo? Da chi verrà messo in scena?

Ciao Johnny, ciao ai lettori di A Classified Level. Lo spunto per “Verona8485” è nato dal confronto con amici sulle emozioni e i ricordi legati all’epopea dello Scudetto. Non solo all’annata in sé di quella vittoria, ma più in generale al clima che caratterizzava quel periodo. Verona è una città meno semplice di quanto possa apparire: riservata, quieta, ma piena di contraddizioni, di tensioni più o meno evidenti. Lo è adesso, lo era forse persino di più allora. E si intrecciava ad un’Italia che galoppava sull’onda lunga del boom economico, del craxismo, della “Milano da bere”. Verona non sfuggiva a questo processo evolutivo (o involutivo?). Per questo lo spettacolo, messo in scena da due attori affermati e di spessore culturale elevato come Ermanno Regattieri e Andrea De Manincor, con il supporto di Estravagario Teatro, vuole raccontare, intorno alla leva di quel Verona, la perdita d’innocenza di un mondo che non sarebbe mai più stato come prima. Un viaggio nella memoria, nell’emotività, che dal calcio passa alla società civile.

- Siamo nell’anno del trentennale di quello storico Scudetto: che ricordi hai di quei giorni? Come lo hai vissuto da tifoso allora bambino?

Ho avuto la fortuna di esserci. Ma pure la “sfortuna”, lo dico ironicamente di aver iniziato a seguire il Verona nel 1982. Quindi, la mia esperienza di tifoso è cominciata dai picchi più elevati, in termini di risultati e passione. Insomma: nessuno mi aveva avvertito che mi avrebbero atteso, da lì in poi, stagioni sofferte, delusioni, sconfitte, paure, crisi di panico, patologie correlate all’eccesso di trasporto per il gioco del calcio. Già, intanto, però, ci sono le immagini di quel Verona e di quel “pallone”. A otto anni sono stato a vedere 11 partite su 15 di quel campionato, eccezion fatta per quelle a cui mio papà, che per primo mi ha condotto al Bentegodi, non poteva accompagnarmi. C’erano uno stadio sempre pieno, c’erano campioni leggendari nell’Hellas e anche nelle squadre rivali. Fu travolgente il duello con l’Inter, e poi la sfida con il Torino. E poi le vittorie sul Napoli di Maradona e sulla Juventus di Platini, il goal senza scarpa di Elkjaer proprio con i bianconeri, la potenza di Briegel, il carisma di Osvaldo Bagnoli, che ascoltavo incantato parlare dopo la partita, come un magnetico prete operaio.

- Come è cambiato nel tempo il tuo rapporto con il calcio e con il Verona? Riesci ad avere ancora lo stesso entusiasmo e la stessa passione di quegli anni?

Il calcio di oggi è un lontanissimo parente di quello di allora. E non voglio fare il laudator temporis acti: semplicemente, si è perso la caratura popolare di questo sport. Negli anni dello Scudetto del Verona era spettacolo di costume, momento di aggregazione popolare. Andavi a vedere la partita e c’era un rituale che si è perso: il pranzo in famiglia, la domenica, lo stadio raggiunto con le palpitazioni per l’attesa della gara, i gradoni di cemento con la gente accalcata in misura sempre superiore alla capienza effettiva dell’impianto. Dopo, al rientro, l’immancabile appuntamento con “Novantesimo Minuto” e i suoi volti tipici, con la maestria di Paolo Valenti a dirigere la trasmissione. Alla sera, una volta al mese, la pizza fuori, e dopo il ritorno a casa per vedere anche “Domenica Sprint”. Ero un bambino e, ovvio, tutto era magico. Ma credo che per chi sia piccolo, adesso, non ci possa essere un paragone. Il business comanda il calcio, gli stadi sono vuoti e scomodi. La televisione decide orari e giorni, spesso improbabili, per la disposizione del calendario. Detto questo, sono un giornalista e ogni giorno ringrazio perché posso svolgere, con il cuore e con il cervello, il mestiere più bello del mondo. Dopo quello del calciatore.

- Nello spettacolo si parlerà non solo di calcio, ma anche della storia sociale italiana del periodo. In che modo hai legato le due cose?

Come dicevo in precedenza, Johnny, non si può capire quello Scudetto slegandolo dal contesto in cui è nato. Verona, quella Verona, l’Italia, quell’Italia. Il calcio era un grande specchio del Paese, ricco e ottimista: la Serie A era “il campionato più bello del mondo”. Ora credo che non sia lontanissima dal podio dei tornei più affascinanti del globo. Erano gli anni ’80, e le mode che ancora viviamo, la musica, l’arte, la politica, l’economia, discendono da quanto avvenuto in quell’epoca. Nel testo, così, il tentativo è stato quello di connettere calcio e vicende sociali. L’uno, infatti, non può essere letto in modo corretto e completo senza le altre.

- Recentemente hai scritto, insieme ad Alberto Fabbri, il libro “All’inferno andata e ritorno – Cronache di quando l’Hellas “doveva” sparire”: un Verona molto più piccolo rispetto a quello di Bagnoli, che trovò solamente allo spareggio di Busto Arsizio una miracolosa salvezza dalla quarta serie, ma al quale mi sembra che tu sia molto legato. Ci puoi spiegarne il motivo?

La salvezza del 2008 è stata una svolta essenziale nella storia del Verona. Sottolineavo prima: ho visto il miglior Hellas di sempre. Ecco, ho avuto in sorte la possibilità di seguire (e in quel caso da inviato sul campo) pure il peggiore. Se non ci fosse stato il gol di Ilyas Zeytualev all’ultimo minuto, a Busto Arsizio, il Verona sarebbe, con ogni probabilità, sparito, cancellato da interessi finanziari, dai grandi poteri cittadini, per cui spesso questo club è stato un fastidio, letto come un “asset”, e non come un serbatoio di affetti, il nucleo centrale di una comunità che avrà sì dei difetti, ma è piena di pregi che soltanto vivendola si possono comprendere. E Busto Arsizio ha rappresentato uno dei momenti in cui quella stessa comunità ha avvertito il proprio senso di identità con più forza, dopo lo Scudetto.

- Spazio finale per saluti, parole in libertà e progetti futuri.

Intanto ringrazio Ermanno e Andrea per l’adattamento teatrale del testo che ho scritto e da cui è stato tratto “Verona8485”. Sarà un’emozione vederli sul palco, conosco le loro capacità interpretative, l’empatia che sanno trasmettere al pubblico. Ringrazio Osvaldo Bagnoli e i suoi giocatori per quello che hanno fatto, ringrazio il Verona per avermi cambiato la vita e avermi aiutato quando ho avuto i miei crucci, i miei guai, le mie ansie. Senza questo club non sarei la persona che sono. Tutti i giorni mi rimetto in gioco, come deve fare una squadra di calcio, che venga da una vittoria, da una sconfitta o da un pareggio. Quanto al futuro, mi affido alle parole di Elvis Costello e di una delle sue più celebri canzoni: “Everyday I write the book”. C’è sempre qualcosa da scrivere, qualcosa da vivere, qualcosa da condividere. Vi aspetto al teatro Santissima Trinità, a Verona, il 28 marzo. Un abbraccio.

mercoledì 11 marzo 2015

BENVENUTI NEL PRINCIPATO DI LOMBROSIA


COMUNICATO NUMERO 1
Stanchi di questa nostra nazione ridotta al grottesco? Stanchi del passaporto italiano? Stanchi del politicamente corretto? Finalmente è nato il Principato di Lombrosia! In onore della figura sottovalutata e screditata dell'immenso studioso Cesare Lombroso rivendichiamo all'ONU la piena sovranità di creare uno stato indipendente presso i Giardini Lombroso di Verona. In attesa che le nostre giuste istanze siano ascoltate abbiamo costituito il legittimo Governo in esilio.
Ritorneremo presto sull'argomento, perchè abbiamo in programma diverse iniziative, compresa la creazione della Nazionale di calcio del Principato. Stay tuned!

martedì 10 marzo 2015

LA LEGIONE STRANIERA



La scomparsa di Larsson ci ha dato l'occasione per parlare della riapertura delle frontiere della Serie A nei primi anni '80. Continuiamo oggi con questa chicca direttamente dall'album delle figurine Panini stagione '83/'84: le caricature della "Legione Straniera". Vediamo un po' come sono andati.
Napoli: due buone scelte per i partenopei, il veterano della Nazionale olandese Rudolf Krol ed il brasiliano Dirceu. A Napoli in quattro anni di permanenza Krol si distinse come un leader in campo e per diventare, suo malgrado, protagonista della campagna antiabortista locale in vista del referendum: "Tifoso che voti, pensaci: e se la madre di Krol avesse abortito?", questo lo slogan usato. Oggi allena l'Espèrance di Tunisi. Dirceu invece arrivava dal Verona (i tifosi dell'Hellas quando tornò a Verona da avversario lo accusarono di essere stato accolto nel "continente nero". A Napoli però non ebbe così successo e, dopo una sola stagione, fu ceduto all'Ascoli, per poi passare al Como ed all'Avellino. E' morto in un incidente automobilistico nel 1995.
Fiorentina: fortunate scelte argentine per i viola, Daniel Bertoni e Daniel Passarella. Bertoni passò quattro anni in viola con ottimi risultati, prima di passare al Napoli ed all'Udinese. Lasciato il calcio giocato nel 1987 non intraprese la carriera di allenatore per dedicarsi al ruolo di commentatore sportivo. Passarella invece è stato sicuramente uno dei più forti stranieri arrivati in Italia e, dopo la Fiorentina, giocò anche nell'Inter dove trovò anche il modo di prendere a calci un raccattapalle della Sampdoria. Intraprese prima la carriera di allenatore (allenò anche il Parma) e poi quella di presidente del River Plate è stato coinvolto in un'inchiesta giudiziaria, attualmente sospesa, per un traffico di biglietti illegali con le barras bravas.
Roma: scelte brasiliane per la Roma, Paulo Roberto Falcao e Toninho Cerezo.Falcao a Roma ebbe un successo travolgente, tanto da essere nominato l'Ottavo Re di Roma, ma la sua aura si oscurò dopo il gran rifiuto di calciare il rigore nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Attualmente è un allenatore senza squadra e senza grande successo (il suo ultimo ingaggio fu il Bahia nel 2012). Moana Pozzi affermò di aver avuto una relazione con lui. Cerezo ebbe un successo meno verticale, ma più duraturo, tanto che dopo la Roma passò alla Sampdoria per vincere uno storico Scudetto e raggiungere un'altra finale di Coppa dei Campioni. Attualmente allena i Kashima Antlers in Giappone. E' padre di una modella transessuale.
Catania: scelte brasiliane anche per il Catania, Pedrinho e Luvanor. Pedrinho restò in Sicilia tre anni con risultati sufficienti ed ora fa il procuratore. Anche Luvanor rimase tre anni, rivelandosi però un vero bidone e di cui dopo il ritiro dal calcio giocato si sono perse le tracce.
Avellino: anche gli irpini pescarono in Sudamerica, l'argentino Ramòn Diaz ed il peruviano Gerònimo Barbadillo. Diaz arrivò da una stagione di scarso successo al Napoli, ma all'Avellino si rilanciò, finò a giocare con ottimo successo anche in Fiorentina ed Inter. Attualmente allena il Paraguay. Barbadillo ricorda ancora con angoscia il suo arrivo in un'Avellino appena colpita dal terremoto; gli era stato detto che sarebbe andato a giocare vicino a Roma ed invece si trovò sulla Luna. Strinse i denti e poi passò all'Udinese; vive ancora ad Udine ed è direttore tecnico delle giovanili.
Pisa: scelte nordiche per il Pisa di Anconetani, il danese Klaus Berggreen e l'olandese Wim Kieft. Berggreen ebbe una discreta carriera tra Pisa, Roma e Torino. Attualmente gestisce un'azienda di moda femminile dal nome PiRo, dalle iniziali di Pisa e Roma. Kieft fu più lento a carburare ma riuscì a fare una discreta carriera tra Pisa e Torino. Vinse l'Europeo con l'Olanda nel 1988, anche se durante la manifestazione perse il posto di titolare a causa di Marco van Basten (e chi non lo avrebbe perso?). Attualmente fa il commentatore sportivo. E' stato dipendente dalla cocaina e dall'alcool.
Lazio: accoppiata brasiliano/danese per i capitolini, il brasiliano Batista ed il danese Michael Laudrup. Esperienza fallimentare con Lazio ed Avellino per Batista. Attualmente lavora come commentatore sportivo. Ben altro successo per la carriera italiana di Laudrup: in prestito alla Lazio poi passò alla Juventus che deteneva il suo cartellino; a Torino ebbe un grande successo, prima di giocare in altre prestigiose squadre come Barcellona, Real Madrid ed Ajax. Attualmente allena il Lekhwiya in Qatar.
Sampdoria: coppia dalle Isole Britanniche per il Doria, l'irlandese Liam Brady e l'inglese Trevor Francis. Brady ebbe un'ottima carriera italiana con Juventus, Sampdoria, Inter ed Ascoli. Successivamente ha avuto una discreta carriera da allenatore; attualmente è diretttore del settore giovanile dell'Arsenal, oltre che commentatore sportivo. Buona esperienza italiana anche per Francis con Sampdoria ed Atalanta. Anche lui ora fa il commentatore sportivo.
Udinese: scelte brasiliane di successo per i friulani, Zico ed Edinho. Poco da dire su Zico: il suo ingaggio in una squadra come l'Udinese fece molto scalpore, ma sfortunatamente dopo la prima stagione si infortunò e non riuscì più a rendere al meglio, lasciando il club dopo solo due stagioni. Attualmente allena il Goa in India. Esperienza più duratura quella di Edinho, che rimase in Friuli fino al 1987. Dopo aver allenato diverse compagini brasiliane, attualmente fa il commentatore sportivo.
Verona: stranieri di passaggio per il Verona, prima dei ben più significativi Elkjaer e Briegel, il polacco Wladislaw Zmuda e lo scozzese Joe Jordan. Zmuda giocò tre in anni in maglia gialloblu prima di passare ai New York Cosmos, per poi tornare in Italia nella Cremonese, dove ebbe un discreto successo. Ritiratosi, ha abbandonato il mondo del calcio. Lo Squalo Jordan arrivò in Italia che di fatto era già bollito; con Milan e Verona ebbe davvero scarso successo. Dopo aver tentato la carriera di allenatore ed assistente (celebre la sua rissa con Gattuso durante Milan-Tottenham) ora fa il commentatore sportivo.
Milan: scelte scellerate per i rossoneri, il belga Eric Gerets e l'inglese Luther Blissett. In realtà Gerets era tutto tranne che scarso, ma appena arrivato a Milano rimase coinvolto in uno scandalo per corruzione con lo Standard Liegi e di fatto sparì da Milano. Ha intrapreso una lunga carriera da allenatore giramondo ed attualmente allena l'Al-Jazira Club negli Emirati Arabi Uniti. Più particolare la storia di Blissett: arrivato dal Watford di Elton John dove aveva la fama di grande bomber a Milano non riuscì proprio ad ambientarsi, segnando solamente cinque goal, ma sbagliandone di clamorosi, tanto da diventare il simbolo di tutti gli stranieri bidoni sbarcati nel nostro paese in quegli anni. Attualmente è un pilota di auto da corsa e commenta il calcio italiano per la tv inglese. Un collettivo di artista italiano ha preso il nome proprio da lui.
Juventus: poco da dire sulle scelte dei bianconeri, bastano i nomi, il francese Michel Platini ed il polacco Zbigniev Boniek. Su Platini sappiamo praticamente tutto, dopo aver allenato la Nazionale francese si è dato alla politica calcistica ed attualemte è il Presidente della UEFA. Ottimo successo anche per Boniek con Juventus e Roma, prima di dedicarsi, con poco successo, alla carriera di allenatore in Italia (oltre che con la Nazionale polacca) con Lecce, Bari, Sambendettese ed Avellino. Vive in Italia e lavora in Rai.
Genoa: clamorosi bidoni per il Grifone, il brasilano Elòi e l'olandese Jan Peters. Di Elòi si diceva che palleggiasse con i limoni e, forse, sarebbe stato meglio si fosse limitato a fare quello. Attualmente fa il procuratore. Peters invece venne raccomandato da Krol e giocò anche nell'Atalanta. Ritiratosi, ha abbandonato il mondo del calcio.
Ascoli: scelte bizzarre per la squadra di Anconetani, il brasiliano Juary e lo jugoslavo Aleksandar Trifunovic. Juary arrivò all'Ascoli dopo aver giocato con Avellino ed Inter e dopo passò alla Cremonese, prima di giungere al Porto, squadra con la quale segnò il goal decisivo nella finale di Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco. Tuttora vive in Italia, dove ha allenato le formazioni Berretti di Avellino, Potenza e Napoli e le compagini di Aversa Normanna e Sestri Levate. Attualmente si è ritirato dal mondo del calcio. Celebre era la sua "Danza della bandierina" dopo ogni goal e nel 1981 incise persino un 45 giri dal titolo "Sarà così". Quando militava nell'Avellino consegnò al boss Raffaele Cutolo una medaglia a lui dedicata dalla squadra irpina. Di fatto il suo personaggio ispirò quello di Aristoteles della Longobarda nel film "L'allenatore nel pallone". Trifunovic invece rimase nelle Marche per quattro anni senza particolari picchi. Ha abbandonato il mondo del calcio.
Inter: scelte europee per l'Inter, il belga Ludo Coeck ed il tedesco Hansi Muller. Coeck, anche a causa di numerosi infortuni, si rivelò un flop colossale, rimanendo in maglia nerazzurra solo una stagione, per poi passare all'Ascoli, squadra con la quale non fece nemmeno una presenza. Un incidente automobilistico lo uccise nel 1985. Scarso successo pure per Muller, che entrò subito in rotta di collisione con Beccallossi, che affermò che sarebbe stato meglio giocare con una sedia piuttosto che con lui; passato poi al Como fece flop pure lì. Ha svolto il ruolo di ambasciatore della sua città natale, Stoccarda, per il Mondiale del 2006 e quello della città di Innsbruck per l'Europeo del 2008. Ora ha abbandonato il mondo del calcio.
Torino: buone scelte per i granata, l'argentino Patricio Hernàndez e l'austriaco Walter Schachner. Hernàndez, dopo il Torino, ebbe un'esperienza anche nell'Ascoli, prima di fare ritorno in Argentina, dove fece anche l'allenatore. Attualmente fa il commentatore sportivo. Schachner arrivava dal Cesena e rimase tre anni con alterne fortune in maglia granata, prima di passare all'Avellino. Successivamente ha intrapreso la carriera di allenatore, ma attualmente è disoccupato.Quando arrivò a Cesena nel 1981 gli ultras del Cesena cambiarono in suo onore il proprio nome in Weisschwarz Brigaden.
Abbiamo terminato questo nostro viaggio indietro di oltre trent'ann, ma la cosa che colpisce è che, fossero campioni oppure bidoni, ancora li abbiamo bene impressi nella memoria, tanto furono importanti a livello quasi sociale, prima che calcistico. Cosa che di certo non si piò dire degli stranieri di oggi, quasi tutti "usa e getta".

lunedì 9 marzo 2015

"CI SALVEREMO, L'HA DETTO NEDO SONETTI!"



E' purtroppo morto Lars Larsson, un nome che per i tifosi di adesso forse significa molto poco, ma che per noi cresciuti con il calcio degli anni '80 aveva un qualcosa di esotico che è difficile da spiegare a parole. Si erano da poco riaperte le frontiere (stagione '80/'81) ai calciatori stranieri e dalla stagione '82/'83 ogni compagine di Serie A ne poteva tesserare due. Molto spesso ogni squadra ne ingaggiava due provenienti dalla stessa nazione e molto spesso uno lasciava il segno e l'altro si rivelava un flop, ma in ogni caso per i tifosi erano nomi così esotici che facevano sognare (non c'erano internet o la tv satellitare per cercare di scoprire se fossero davvero bravi)... almeno fino all'inizio del campionato.
L'Atalanta neopromossa, allenata da Nedo Sonetti, pescò in Svezia Glenn Peter Stromberg e, appunto, Lars Larsson. Il povero Larsson si infortunò subito al ginocchio e collezionò solo 4 presenze, prima di ritornarsene in Svezia al Malmoe, da dove era venuto. Stromberg invece a Bergamo trovò fama e gloria, diventando uno dei giocatori più amati di sempre della Dea.
Erano gli anni dell'Atalanta del coro "Ci salveremo, l'ha detto Nedo Sonetti!" e del record di abbonati, erano gli anni nei quali la Serie A iniziava ad essere il campionato più bello del mondo... pare un secolo fa.
Lars Larsson RIP

venerdì 6 marzo 2015

AVANTI, C'E' POSTO!




Avanti, c'è posto negli stadi italiani che sono quasi sempre vuoti, ma avanti c'è posto, più in generale, nella farsa del calcio italiano a tutti i livelli: da Tavecchio (che ormai ci suscita davvero compassione), al caso Parma (per la UEFA non aveva diritto di giocare già quest'estate, ma Tavecchio insisteva a dire che andava tutto bene...), per proseguire con Sky, che ora batte i pugni perchè ha già pagato per le partite del Parma, ma, nella sua redazione di Yes Men e di ragazze che sembrano uscite da un casting per modelle, magari qualcuno invece di fare del bieco servilismo avrebbe dovuto aprire bocca prima con qualche inchiesta giornalistica seria.
Potremmo andare avanti a lungo, ma nulla spiega meglio la disfatta del calcio italiano il confronto tra l'Olimpico deserto per Lazio-Napoli, semifinale di Coppa Italia, e l'Allianz Arena sold out per Bayern Monaco-Eintracht Braunschweig, ottavo di finale di Coppa di Germania tra una delle squadre più forti del mondo contro una compagine di seconda divisione. E la colpa di questo sfacelo non è certo dei tifosi che hanno deciso di restare a casa, a di chi in tutti questi anni ha contribuito a questa situazione ormai praticamente irreversibile. Il Mondiale di Italia '90 ha iniziato la parabola discendente del calcio nostrano, manifestazione usata solo per commettere ogni tipo di ruberia e malaffare, mentre i Mondiali di Germania 2006 hanno definitivamente rilanciato il football teutonico, che continua ad avere stadi pieni, benchè di fatto abbiano una sola squadra forte e tutte le altre che sono mere comprimarie. Ma ciò non toglie minimamente la voglia ai tifosi di gremire stadi funzionali e moderni, dove il tifoso di calcio non è visto come un potenziale criminale. Torneremo ancora su questo argomento, ma è pur sempre venerdì e non vogliamo deprimerci troppo: in questi giorni sarà in Italia la storica Oi! band dei Business, quindi vi lasciamo con loro.

The Business- "Suburban Rebels"
They're the sons and daughters of well off bankers
Tom Robinsons' army of trendy wankers
Flared blue jeans and anoraks
With yellow streaks all down their backs
Who act so tough when their on TV
But trendy wankers don't scare me
Oi!, Oi! Oi! Chosen few
This is what we think of you
Oi!, Oi! Oi! Chosen few
This is what we think of you
Suburban rebels playing at reds
You would be urban terrorists
You don't scare us with your badges and banners
You know fuck all about heavy manners
You're the middle class kiddies from public schools
Who write the slogans on the toilet walls
Like Tony Benn's clones in plastic Macs
You wave a hammer and sickle, never Union Jacks
Got lots of mouth when your in a crowd
But when you're alone you don't speak loud
Oi!, Oi! Oi! Chosen few
This is what we think of you
Oi!, Oi! Oi! Chosen few
This is what we think of you
Suburban rebels playing at reds
You would be urban terrorists
You don't scare us with your badges and banners
You know fuck all about heavy manners

giovedì 5 marzo 2015

PROFETA IN PATRIA


Finalmente la città di Newcastle ha deciso di rendere omaggio al suo figlio prediletto, Alan Shearer, con una statua di quasi tre metri che lo raffigurerà nell'atto della sua celebre esultanza, sobria e con stile, una di quelle che i calciatori di oggi hanno dimenticato, preferendo mettere in atto delle tristissime sceneggiate, Ma questa è un'altra storia che magari approfondiremo con un articolo specifico. Dedichiamoci oggi alla figura di Alan, tifosissimo dei Magpies fin da piccolo ma che per diventare Profeta in Patria dovette aspettare di avere quasi 26 anni. Infatti da ragazzino venne scartato dal Newcastle (immaginiamo come si debba sentire oggi chi lo scartò) e finì per emigrare dalla parte opposta del paese, fino a Southampton, per poi passare nel 1992 al Blackburn, compagine con la quale vinse il suo unico trofeo (sembra incredibile), la Premier del 1995. Nel 1996, dopo l'Europeo casalingo, il Manchester United voleva sborsare qualunque cifra per assicurarselo e, a posteriori, per regalargli un palmarès incredibile. Ma Alan voleva tornare a casa, Alan voleva indossare quella maglia che aveva sognato fin da quando giocava per le strade della sua città: la maglia bianconera a strisce verticali del Newcastle United. Vi rimase per 10 anni, collezionando 148 reti in 303 presenze, ma sfiorando solamente la Premier. Ritiratosi nel 2006, pur non avendo ambizioni da manager, nel 2009 accettò di traghettare la squadra per qualche mese in una inevitabile retrocessione. Poco importava a lui ed ai suoi tifosi che continuarono a gremire St James' Park.
Ed ora l'ex chairman del club Freddy Sheperd ha commissionato allo scultore Tom Maley una statua in suo onore, statua che ancora non è chiaro dove verrà posizionata (forse all'Exhibition Park Museum), visto che ci sono diversi luoghi in città che la reclamano. In ogni caso non allo stadio, perchè Shearer non è un patrimonio solo di chi si recava sulle gradinate, ma proprio di tutta la cittadinanza: il figlio prediletto che ha rinunciato alla gloria mondiale per essere ricordato per sempre nelle strade nelle quali è cresciuto.
Concludiamo con una curiosità: Shearer ha preso parte, con un cameo nel ruolo di se stesso, ad uno dei più bei film sul calcio giocato, "The Match" di Mick Davis, storia della rivalità tra due pubs di una piccola cittadina scozzese, rivalità che ogni anno culmina in un'accesa sfida calcistica.

mercoledì 4 marzo 2015

E MARE LIBERTAS


Oggi vi vogliamo raccontare una storia bizzarra e poco conosciuta, quella del Principato di Sealand, autoproclamatosi "principato con sovranità indipendente", pur non essendo riconosciuto da nessuna nazione al mondo. In realtà non stiamo parlando di una nazione non riconosciuta stile Catalogna o Paesi Baschi, ma di una semplice piattaforma galleggiante al largo delle coste del Suffolk costruita dai britannici nel 1942 allo scopo di difesa antiaerea. Ciò che cambiò per sempre la storia di questa piattaforma furono i problemi legali per la trasmissione su suolo britannico di una piccola radio, "Radio Essex", di proprietà di tal Paddy Roy Bates. Costui, consigliato dai suoi avvocati, allo scopo di mantenere in vita la radio alla viglia di Natale del 1966 pensò bene di occupare la piattaforma (che allora aveva il nome di Roughs Tower) e, il 2 Settembre 1967, di dichiararla nazione indipendente. Per una decina d'anni nessuno se lo cagò, fino a quando, anche se sembra grottesco, il primo ministro, approfittando dell'assenza di Bates ed aiutato da un gruppo di cittadini olandesi, effettuò un colpo di stato e prese in ostaggio il figlio di Bates, prima di spedirlo in Olanda. Bates non la prese affatto bene: arruolò un gruppo di mercenari pesantemente armati ed in breve si riprese la piattaforma. Rimandò in Olanda i cospiratori, ma si tenne il primo ministro (un tedesco), dichiarandolo prigioniero a tempo indeterminato. Dovette intervenire la Germania per poterlo rimpatriare dopo lunghe trattative ed il buon Achenbach (questo il suo nome) istituì il governo di Sealand in esilio, che tuttora, reclama la sovranità sulla piattaforma. A questo punto la famiglia Bates si mise persino a stampare passaporti di Sealand, ma la cosa sfuggì di mano, visto che questi passaporti finirono pure sul mercato nero in mano ad associazioni criminali coinvolte in crimini di una certa rilevanza, come quello, pare, di Gianni Versace. L'autoproclamatosi Principe è morto nel 2012, lasciando il titolo al figlio Michael (il titolo è assolutamente ereditario, essendo una Monarchia costituzionale pura).
La cosa geniale di tutta questa follia è che, spendendo una modica cifra di denaro, chiunque può acquistare la carta d'identità di Sealand (i passaporti, visti i problemi criminali passati, sono stati aboliti), oppure diventare Lord, Barone, Cavaliere dell'Ordine Militare oppure Conte (tutto ovviamente anche al femminile). Che ve ne fate, direte giustamente voi? Sostanzialmente nulla, salvo magari fare un regalo molto originale e, in ogni caso, avere il diritto, per quanto riguarda i titoli nobiliari, di partecipare ad incontri e raduni che si tengono solitamente in Inghilterra. Per farlo è sufficiente andare sul sito del Principato.
Attualmente la popolazione residente a Sealand è di 5 abitanti (la famiglia Bates), la moneta ufficiale è il Dollaro di Sealand ed il motto uffciale è "E Mare Libertas".
Concludiamo questo bizzarro viaggio a Sealand (che comunque approfondiremo; non escludiamo successiva adesione completa da parte di A Classified Level) con una curiosità calcistica: ovviamente anche Sealand ha la sua compagine, membro associato della Federazione che raggruppa le entità non iscritte alla FIFA.

martedì 3 marzo 2015

THERE'S ONLY ONE DAVE MACKAY



L'espressione "Grande del Calcio" negli ultimi anni è stata troppo spesso usata con estrema leggerezza e facilità, tipica della nostra società fast food, ma non possiamo che rispolverarla per un personaggio che purtroppo ieri ci ha lasciato, un nome che magari non è così noto al grande pubblico (soprattutto italiano), ma la cui storia merita di essere raccontata: lo scozzese Dave Mackay.
Per comprendere perchè Mackay va considerato un grande basti pensare che chi vi scrive si trovava ad Edimburgo (sua città natale) lo scorso Settembre e parlando con un tassista quarantenne tifoso dell'Heart of Midlothian, al solo nominare il buon Dave il tassista si è illuminato ed ha iniziato a sciorinare una serie di elogi del carisma di quest'uomo che, per ragioni anagrafiche, lui non aveva mai visto giocare, ma la cui mitologia era ancora ben tatuata nella mente di ogni tifoso dei Jambos. Infatti la carriera di giramondo del pallone di Mackay iniziò proprio nella squadra protestante di Edimburgo nel 1953, nella quale rimase fino al 1959, conquistando anche un campionato, cosa che dalle parti di Tynecastle non è proprio la regola. Passò poi in Inghilterra al Tottenham, dove rimase per 9 gloriosi anni nei quali vinse anche una Coppa delle Coppe. La sua carriera, a 33 anni, sembrava ormai volgere al termine quando un nuovo emergente manager di nome Brian Clough (che era di un anno più giovane di Mackay) volle assolutamente, contro il volere della dirigenza, portarlo al Derby County (la scena è magnificamente rappresentata nel film "Il Maledetto United"). Anni dopo Clough descrisse quell'acquisto come "la sua migliore giornata di lavoro". Infatti il manager, allo scopo di allungargli la carriera, lo arretrò da ala sinistra a libero e la cosa funzionò alla grande, tanto che il Derby diventò una rivelazione del calcio britannico. Dave poi chiuse la carriera sul campo (nella quale collezionò anche 22 presenze e 4 reti con la Scozia) nel 1972 allo Swindon Town e, contemporaneamente, durante questa sua esperienza iniziò anche quella di manager, che lo vide andare ad allenare anche in Egitto, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar, quando ciò non era decisamente di moda.
Mackay era una persona estremamente corretta sia dentro che fuori il rettangolo di gioco, ma, paradossalmente, la sua immagine iconica è quella di lui in maglia Spurs che prende rudemente per il bavero quel simpaticone di Billy Bremner del Leeds. La cosa incredibile è che la foto che lo ha reso più riconoscibile nel mondo dei tifosi di calcio è quella che lui odiava pesantemente, in quanto, a detta sua, gli conferiva un'imperitura immagine di bullo, cosa che lui non era affatto. Infatti, ricordando quell'episodio, disse che Bremner era un brillante giocatore, ma anche "uno sporco piccolo bastardo" che per tutta la partita lo aveva preso a calci sulla gamba che aveva rotto due volte... finchè lui, giustamente, pensò bene di reagire e Bremner non fece più tanto lo spavaldo.
Ciao Dave.
RIP

lunedì 2 marzo 2015

LIVE LONG AND PROSPER


Ci sono attori che quando passano a miglior vita vengono celebrati con il loro nome (per esempio Robin Williams, tanto per citare un caso recente) ed altri come Leonard Nimoy che vengono invece universalmente ricordati con il nome del personaggio che ha regalato loro fama imperitura. Questo, se da un lato indica chiaramente che erano attori decisamente peggiori, dall'altro, paradossalmente, consegna a questi ultimi una fama ancora più mitologica, destinata a non finire mai ed a scatenare un fanatismo tra i fans ancora più notevole. Del resto il conflitto interno tra uomo e personaggio è vecchio come il mondo e ne soffrì anche Sir Arthur Conan Doyle che finì con l'odiare il suo Sherlock Holmes, tanto da ucciderlo, prima di essere costretto a resuscitarlo perchè pressato dai fans.
Il buon Nimoy invece visse sempre benissimo l'identificazione con il suo personaggio (anche perchè di ambizioni attoriali si vede che non ne aveva moltissime; prima di "Star Trek" aveva lavorato praticamente solo in serie tv western), anche perchè il successo del personaggio mezzo vulcaniano e mezzo terrestre è quasi per intero merito suo, visto che gran parte dei tratti del personaggio sono dovuti proprio all'attore. Spock, peraltro, rischiò di sparire subito dopo il flop dell'episodio pilota, ma il produttore della serie lo difesa a spada tratta. Il suo classico saluto con la mano destra (per quei pochi che non lo conoscessero è quello che si vede nella foto abbinata all'articolo) fu ideato proprio da Nimoy ispirandosi alla tradizione ebraica (i Nimoy sono ebrei di lingua Yiddish originari dell'Ucraina), esattamente come il celebre detto "Long Live and Prosper" ("Lunga Vita e Prosperità"), anch'esso una benedizione ebraica.
Era un grande tifoso di football americano, nella fattispecie dei New England Patriots.
Concludiamo con una curiosità: il Capitano Kirk (un altro per il quale il suo reale nome, William Shatner; conta davvero poco) oggi non sarà presente al funerale di Spock a Los Angeles, in quanto impegnato ieri sera ad un ballo della Croce Rossa in Florida. E noi che pensavamo che l'Enterprise ti portasse dalla Florida alla California in un secondo! Che delusione la vita reale.
Spock RIP

venerdì 27 febbraio 2015

WHITE MALE FOOTBALL FANS







"Speriamo che succeda qualche casino che va bene anche per noi".
Frase pronunciata da un "giornalista" al suo cameraman ieri pomeriggio in piazza del Duomo gremita di tifosi del Celtic (del tutto, come era ovvio per chiunque tranne per i media nostrani, pacifici). Basta questa porcheria per chiudere finalmente tutta questa patetica vicenda. Da oggi i pennivendoli potranno ritornare a concentrarsi sull'Isis o sul processo di Sarah Scazzi... in attesa della prossima "emergenza ultras".
Tutto così tremendamente orwelliano che non potevamo che lasciarvi con questa canzone dei 4-Skins.

The 4-Skins- "1984"
Britains in trouble, countrys bled dry
handicapped and eldery have all gotta die
no one fights the system, fight with each other
the combine is laughing, scared of big brother
What are we gonna get
What are we gonna get
What are we gonna get
in 1984
Rats leave the sinking ship, theyve got their money made
third world countries, sending us aid
people queue up just to get their ration
not the birth, but the death of a nation
What are we gonna get
What are we gonna get
What are we gonna get
in 1984
Will there be some heroes,into 85
when the bomb is dropped,and how do you stay alive
Orwell said it all, he looked the future in the face
Giant test tube babies,build a brand new race
What are we gonna get
What are we gonna get
What are we gonna get
in 1984

giovedì 26 febbraio 2015

WHERE ARE THEY NOW?


Sono passati ormai 19 anni dall'uscita nelle sale di tutto il mondo di "Trainspotting" di Danny Boyle, tratto dal capolavoro di Irvine Welsh. E, visto che si parla in maniera sempre più insistente del sequel previsto per il ventennale, andiamo a scoprire che hanno fatto i principali attori.


Renton (Ewan McGregor): l'attore feticcio di Danny Boyle (fino a "The Beach", quando i rapporti tra i due si incrinarono per via che il regista, pressato dai produttori, gli preferì Leonardo Di Caprio) è sicuramente quello che ha avuto una carriera più hollywoodiana degli altri. Trascinato dal successo di "Trainspotting" ha iniziato a girare film negli States (tra cui "Moulin Rouge!"), fino a diventare un'icona universalmente riconosciuta per l'aver interpretato il ruolo di Obi-Wan Kenobi nella seconda trilogia di "Star Wars".


Begbie (Robert Carlyle): attore di formazione teatrale e prediletto da Ken Loach, dopo il successo del personaggio Begbie ha raggiunto fama mondiale grazie a "The Full Monty". Da qualche anno interpreta superbamente il ruolo di Tremotino/Mr. Gold nella serie tv "Once upon a time" ("C'era una volta"), dove le sue doti di cattivo sono esaltate alla massima potenza.


Spud (Ewen Bremner): caratterista superbo alterna piccoli ruoli in grandi produzioni a ruoli da protagonista in pellicole di nicchia. Ha preso parte ad un altro film tratto da un libro di Welsh ("The Acid House"), ha recitato nell'esordio alla regia di Nick Love nel cortometraggio "Love Story", mentre ha preso parte a film di alto impatto commerciale come "Pearl Harbor" e "Match Point". Recentemente ha recitato, nel ruolo di Wemmick in "Great expectations" tratto dal romanzo di Charles Dickens.


Sick Boy (Jonny Lee Miller): l'unico del cast principale a non essere scozzese (anche se insignito della cittadinanza onoraria per averne magnificamente imitato l'accento), il londinese tifoso del Chelsea ha preso parte a diverse produzioni sia cinematografiche che televisive (come "Eli Stone"), prima di trovare la definitiva consacrazione nel ruolo di un moderno Sherlock Holmes nella New York dei nostri giorni, nella magnifica serie tv "Elementary". E' stato brevemente sposato con Angelina Jolie.


Tommy (Kevin McKidd): l'unico del cast principale che non potrà partecipare al sequel (a meno che venga inserito in qualche flashback), in quanto il suo personaggio muore di AIDS nella prima pellicola. Ha partecipato anche lui a "The Acid House", prima di essere il protagonista del magnifico "16 years of alcohol. Ha trovato fama mondiale partecipando, a partire dalla quinta stagione, a "Grey's Anatomy", nel ruolo del Dottor Owen Hunt, un reduce dalla guerra in Iraq.


Diane (Kelly Macdonald): l'unica donna del cast principale ha preso parte ad importanti produzioni sia in UK che negli USA (Nel pluripremiato "Non è un paese per vecchi", per esempio), prima di avere un ruolo da assoluta protagonista nell'acclamata serie, prodotta da Martin Scorsese, "Boardwalk Empire", nel ruolo di Margaret Schroeder.


Swanney (Peter Mullan): attore amato da Ken Loach (pensiamo al meraviglioso "My name is Joe"), ha avuto successo anche come regista del film "Magdalene". Recentemente ha avuto un importante ruolo nell'acclamata miniserie "Olive Kitteridge", nel ruolo di Jim O'Casey.